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Di Bartolo Vincenzo
(Capitano della Marina militare)

Nato il 7 maggio 1802 ad Ustica e ivi morto il 20 aprile 1849.

Ultimo dei sei figli di Ignazio e da Caterina Pirena.

I Di Bartolo, forse originari di Trapani, insieme ad altri erano stati trapiantati ad Ustica, che a quel tempo era ancora luogo di stazionamento di pirati e corsari, con l'aiuto  dei Borboni, al fine di abitarla e popolarla.

Nel 1809 il signor Pietro Gulli fu "il primo che gli aprisse la strada agli studi della lingua italiana e francese, rendendolo, prima che compisse il dodicesimo anno, padrone delle due favelle".

Nel 1814 lo zio e padrino Andrea, ben convinto delle superiori qualità intellettive e dell'inclinazione marinara del nipote, chiamò il giovane Vincenzo a Palermo per frequentare il Collegio nautico "Giuseppe Gioeni" ed a diplomarvisi.

Tra gli studi profondi e le esperienze di viaggio, il ragazzo divenne non comune in mezzo ai compagni, tantè che il Collegio ritenne di potere affidare a Vincenzo, a soli 18 anni, prima l'insegnamento di aritmetica e geometria e poi gli conferì l'incarico di pilota in viaggi per Amsterdam e Costantinopoli.

In Di Bartolo si erano venute a formare alcune delle qualità necessarie per la navigazione: un solido impianto di cultura ed esperienza marinare, coraggio, viva curiosità didascalica spinta a conoscere per far conoscere e sensibilità commerciale.

Benedetto Ingham, abile uomo d'affari inglese che in Sicilia si era trapiantato con grande fortuna, gli affidò il brigantino "Alessandro" per viaggi in Brasile, Inghilterra, Boston, Terranova con l'intento di sostenere i traffici di zolfo, pomice, agrumi, olio, sommacco, uva e marsala praticati dalla ditta.

Nel 1838 Vincenzo Di Bartolo, ascoltando i racconti dei più esperti esponenti della marineria palermitana che narravano di viaggi a Sumatra, restò come folgorato e convinse Ingham ad armare il brigantino "Elisa" per andare nelle Indie orientali.

Egli quindi "usciva dai mari che aveva più volte valicato, ed entrava in un mare sconosciuto, in un territorio non suo".

Questa impresa ardita e felicemente condotta gli fece guadagnare la nomina, da parte di Ferdinando II di Borbone, di "Alfiere di Vascello" della Real Marina di guerra e la medaglia d'oro al valor civile, essendo stato il primo tra i suoi sudditi ad avere navigato fino a Sumatra nell'Oceano Indiano.

Un secondo e un terzo viaggio del Di Bartolo contribuirono a rinfrancare la nazione siciliana e le apriva rosee prospettive di sviluppo commerciale con la raggiunta consapevolezza della propria capacità marinara.

Il 25 settembre 1846 morì sua moglie ed egli potè conoscere l'accaduto mentre tornava dal suo terzo viaggio a Sumatra.

L'evento lo sconvolse, spingendolo a navigare sempre meno; si occupò infatti di "banali viaggi attorno alla Sicilia e a comandare il vapore Palermo ... tra Napoli e la Sicilia".

Appena un anno dopo lasciò il "Palermo", indebolito da una pesante malinconia e poi dall'epilessia.

Ritornò ad Ustica in una altalenante lucidità e lì morì per un colpo apoplettico.

Nella sua tomba su un marmo pregiato sono disegnate le tre isole nelle quali si sviluppò l'attività di capitano: Ustica, luogo di nascita e di morte; la Sicilia, la terra della maturazione e Sumatra, l'isola che gli dette la fama.

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