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Starrabba Antonio
(Sindaco)

Nato il 6 aprile 1839 e morto a Roma il 7 agosto 1908.

Figlio di Francesco Paolo Starrabba, marchese di Rudinì del ramo cadetto dei principi di Giardinello e di Lucia Statella, figlia del principe di Cassaro.

Nonostante appartenesse a due famiglie di estrazione conservatrice, aderì ai fermenti rivoluzionari e già prima della venuta di Garibaldi era stato schedato dalla polizia tra i "novatori". Dopo la fallita insurrezione del 4 aprile 1860, fu costretto a rifugiarsi a Genova per sfuggire all'arresto. Proclamata l'unità d'Italia, rimase per qualche tempo a Torino addetto al Ministero degli affari esteri.

Tornato a Palermo, fu uno dei principali collaboratori del sindaco Mariano Stabile, alla cui morte successe nella carica: a soli ventiquattro anni, il 10 agosto 1863, egli divenne così il più giovane sindaco che la Comune abbia mai avuto. Mantenne la carica fino al 21 dicembre 1866.

Fu un amministratore infaticabile ed un ottimo organizzatore. Triplicò il numero delle scuole elementari, istituì un ufficio tecnico per incrementare i lavori pubblici, fece sistemare strade, marciapiedi, fognature; migliorò le condizioni igieniche della Comune completò la rete di illuminazione con fanali a gas, in sostituzione di quelli ad olio; fece costruire il giardino Garibaldi di piazza Marina affidando il progetto a G.B. Filippo Basile.

Ma il suo dinamismo e il suo efficientismo finirono con il ledere interessi particolari consolidati ed a creare malcontenti e insoddisfazioni. Nel settembre del 1866 fece fronte con fermezza e decisione alla sommossa scoppiata a Palermo (la "rivolta del sette e mezzo", così chiamata per la durata dei giorni), ma dovette subire il saccheggio del suo palazzo ai Quattro Canti e le critiche degli avversari politici.

Per la valorosa difesa del Municipio contro i rivoltosi, fu premiato dal Governo italiano con la medaglia d'oro al valore e nominato prefetto della provincia. Tenne quest'ufficio per un anno, dal 3 dicembre 1866 al 31 dicembre 1867 e, l'anno successivo, venne trasferito a Napoli. Da quel giorno non tornò più a Palermo.

Nell'ottobre del 1869 fu chiamato dal presidente del Consiglio, il generale Menabrea, a ricoprire la carica di ministro dell'Interno, senza che egli fosse deputato nè senatore; solo in un secondo tempo venne eletto deputato dal Collegio di Canicattì.

Alla Camera si schierò con la destra, di cui divenne capo nel 1886, alla morte di Marco Minghetti.

Due volte ricoprì la carica di presidente del Consiglio, la prima dal febbraio 1891 al maggio 1892, la seconda dal marzo 1896 al giugno 1898, succedendo in entrambe le occasioni a Francesco Crispi.

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