Cos'è
Debutta mercoledì 2 aprile alle ore 21.00 nella Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo, lo spettacolo Lettere a Bernini di Marco Martinelli, coprodotto da Albe, Ravenna Teatro, Emilia Romagna Teatro ERT - Teatro Nazionale. In scena Marco Cacciola e, in alternanza nel ruolo dell’Angelo messaggero, Giorgia Bova, Bryan Enu Eduako, Karis Frayday; il disegno luci è di Luca Pagliano, la scenografia di Edoardo Sanchi, le musiche originali di Marco Olivieri.
Repliche fino al 6 aprile.
Il rapporto fra gli intellettuali e il potere in un’epoca segnata dalla propaganda; la complessità dell’animo umano contro ogni tentativo di semplificazione; uno sguardo su un passato che, per certi versi, somiglia al nostro presente: sono soltanto tre delle questioni affrontate in Lettere a Bernini, la nuova creazione del drammaturgo e regista Marco Martinelli, fondatore delle Albe di Ravenna insieme a Ermanna Montanari, con la quale condivide l’ideazione di questo spettacolo.
Lettere a Bernini si svolge interamente in un giorno d’estate dell’anno 1667, esattamente il 3 agosto. In scena, nel suo studio di scultore, pittore e architetto, il vecchio Gian Lorenzo Bernini, interpretato dall’unico attore sul palco, Marco Cacciola, che recita in italiano e in napoletano. La massima autorità artistica della Roma barocca è infuriata con Francesca Bresciani, intagliatrice di lapislazzuli che ha lavorato per lui nella Fabbrica di San Pietro e che ora lo accusa, di fronte ai cardinali, di non pagarle il giusto prezzo per il suo lavoro.
Da questa vicenda, storicamente documentata, prende il via lo spettacolo: sono le lettere che la Bresciani spediva ai potenti committenti del Bernini, per denunciare il torto subito e rivendicare i propri diritti, rivelandosi figura di emancipazione femminile ante litteram. Nell’infuriarsi con la donna – in questo atelier che era un vero e proprio teatro, nel quale, mentre scolpiva e creava, parlava con i cardinali, impartiva degli ordini ai suoi artigiani e spesso, appunto, si infuriava – Bernini evoca l’ombra dell’odiato rivale, Francesco Borromini. Ed è proprio in Borromini che risiede la genesi di questo lavoro di Martinelli, risalente a una visita, compiuta insieme ad Ermanna Montanari, alla Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, edificata a Roma nel XVII secolo ad opera del genio ticinese.
«Bernini era una figura piena di contraddizioni, capace di violenze e di prepotenze da una parte e capace di momenti, invece, di grande umanità, altrimenti non ci avrebbe regalato tutti i suoi capolavori», sottolinea Martinelli a proposito di questa indagine sulla complessità dell’animo umano, ancor più significativa in un’epoca, la nostra, dominata da manicheismi, (anti)ideologie semplificatorie e gogne mediatiche.
Così, fra una citazione di un papa e una di un cardinale, il Bernini incarnato da Marco Cacciola parla di Hitler e di followers, catapultando il pubblico immediatamente dal Seicento all’oggi.
Attraverso una drammaturgia in cui la voce monologante dell’attore e quella di Bernini si rincorrono e sovrappongono senza soluzione di continuità, a generare sulla scena, come scolpendo nel vuoto, presenze, figure e ricordi, l’opera di Martinelli ci mostra dunque un Seicento che parla di noi, sospeso tra il secolo della Scienza nuova e l’attuale imbarbarimento, sempre più incombente.